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martedì 17 maggio 2011

Franz Beer a Venezia




Opere recenti

Il risultato particolare della tecnica di Franz Beer è di creare delle superfici che appaiono pittoriche e tuttavia sono virtuali perché esistono solo tramite gli occhi che le osservano. Le superfici reali sono crepate, spigolose, crostose e rupestri, e la loro esperienza tattile è l’esatto opposto di quella ottica.

Col mutare della luce (del giorno) questi “materiali”, che in realtà sono oggetti da parete, sviluppano un gioco di colori camaleontico, che non è riproducibile. La luce cangiante ha un ruolo essenziale nell’esperienza sensoriale di questi lavori.

Pertanto è solo al primo sguardo che l’opera di Franz Beer sembra eludere il pittorico e mettere in primo piano la plasticità del materiale, la sua vera materialità. Nei collage la testura grafica più volte interrotta crea un effetto pittorico. Un filato sottilmente tracciato sembra diventare un dipinto. Dove vengono introdotti elementi simbolici, dove in questo astratto linguaggio artistico appaiono tracce rappresentative dell’essere umano, anche a queste viene data forma plastica – fessure si aprono, dalle quali sgorga qualcosa; in buchi che possono allargarsi come nicchie, si intuiscono, si possono tastare più che vedere concretamente delle forme falliche o vegetali (interpretabili forse al femminile?). Sfumature cromatiche rendono possibili la mutazione ottica della spazialità dei “quadri”.

Il mondo visivo-tattile che Franz Beer misura con la sua opera, deve essere sembrato lontano a lui stesso negli anni di gioventù. “Ciclo di un mondo lontano” ha intitolato la sua seconda esposizione veneziana nel 1958. Nel corso dei decenni, questo mondo si è avvicinato sempre di più all’artista stesso, ai suoi molti amatori, collezionisti e conoscitori. E di nuovo dispiega davanti ai nostri occhi, cose mai prese prima come vere, in molte lingue, con innumerevoli sfaccettature: 2011, un mondo lontano, so close, maintenant.



Peter Zawrel

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